Il datore di lavoro, quale sostituto di imposta, svolge funzioni di esattore dell’Amministrazione finanziaria versando a quest’ultima gli acconti d’imposta per conto del contribuente sostituito, ossia del lavoratore subordinato. L’obbligazione è soddisfatta direttamente con il denaro del sostituito e, pertanto, laddove sia accertata l’insussistenza del debito fiscale, sorge in capo al datore di lavoro l’obbligo di restituire al lavoratore la quota di retribuzione trattenuta e non versata al Fisco (Cass. n. 14502/2019).
Già le Sezioni Unite, con riferimento alla giurisdizione, avevano statuito come le controversie tra sostituto di imposta e sostituito, in tali ipotesi, appartenessero alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass. SS.UU. n. 8312/2010). Tale indirizzo è stato recentemente recepito dalla Suprema Corte, con la sentenza 19.6.2024 n. 16889. Nel caso di specie vi era stato un pagamento in eccesso all’Erario, a titolo di tassazione, della capitalizzazione del trattamento pensionistico integrativo. Secondo la Corte viene in rilievo un’azione di inesatto adempimento del debito, sia pure in relazione al trattamento pensionistico integrativo aziendale, che era stato decurtato di una somma maggiore rispetto a quella dovuta.